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Home > Museo > Sale > Sala 4: l’età nuragica > L’età nuragica nel territorio di Ittireddu
Nell’isola tra il XVII e il XIII secolo a.C. si realizzò l’occupazione sistematica e capillare del territorio con l’edificazione di migliaia di nuraghi, sia semplici che complessi - ovvero costituiti da un numero variabile di torri - distribuiti in sistemi insediamentali, di abitati e di luoghi di culto. In quell’epoca il territorio di Ittireddu risulta intensamente antropizzato: vi sono attestati ben 15 nuraghi, una densità significativa rispetto alla sua modesta estensione. Ciò si deve evidentemente, oltre che alle favorevoli caratteristiche geomorfologiche e pedologiche, alla sua strategica posizione in un punto nodale e di transito verso la fertile piana di Chilivani, per di più dominata dall’alto dal Monte Zuighe - aspetti determinanti nell’ottica del sistema territoriale più ampio e del controllo delle sue risorse.
Di questi numerosi nuraghi oggi rimangano testimonianze monumentali solo in alcuni casi: a parte il notevolissimo caso del nuraghe Funtana oggetto di scavi sistematici e di restauri, appaiono in migliore stato di conservazione il nuraghe Sa Domu ‘e S’Orku, del tipo a corridoio, e il nuraghe Chisti. Di altri nuraghi, segnalati nella carta del territorio, si conservano solo alcuni filar o qualche sporadico blocco.
Attiene alla sfera della religiosità nuragica la presenza della fonte sacra di Funtana ‘e Baule. Vi si distinguono i tre canonici elementi architettonici più importanti e ricorrenti di questi edifici: un vestibolo che precede l’accesso alla fonte, provvisto di sedili in pietra dove i fedeli deponevano le offerte e svolgevano i propri rituali; la scala con cinque gradini che conduce in un vano, in gran parte interrato, che custodiva la vena sorgiva. Non sono state rinvenute invece tombe di giganti, le caratteristiche sepolture collettive di età nuragica, tuttavia il motivo della stele centinata, ingresso - simbolo in queste tombe, è stato scolpito nella roccia di una preesistente domus de janas ovvero nella tonba XIV di Partulesi, seconda una modalità attestata variamente soprattutto nell’area settentrionale dell’Isola, che testimonierebbe una sopravvivenza dell’architetture ipogeica tanto diffusa nel Neolitico che sopravvive ancora nell’età del Bronzo.